Esposizione fotografica di Monika Bulaj.
Un viaggio solitario nella terra degli Afghani. Dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, il riso, la paura. Spostandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak. Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, armata soltanto di un taccuino e una Leica. Balkh, Panjshir, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan, Pamir Khord, Khost wa Firing. Uno slalom continuo per evitare i banditi targati Talib, seguendo la complicata geografia della sicurezza che tutti gli afghani conoscono. Parlando con gli afghani, ho scoperto che la guerra è una macchina miliardaria che si autoalimenta e che pur di funzionare arriva al punto di pagare indirettamente tangenti allo stesso nemico. Rifiutando di viaggiare con un’unita’ militare – ‘embedded’ – protetti da un elmetto in kevlar, ho ritrovato un mondo che dalla Maillart a Bouvier gli europei amarono e che ora, dopo dieci anni di presenza militare, abbiamo rinunciato a conoscere. La culla del sufismo e di un Islam tollerante che, lì come in Bosnia, l’Occidente si ostina a ignorare. La terra dei poeti odiata dai Taliban e minacciata dal nostro schema dello scontro bipolare. Un Paese nudo e minerale, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo non ha spazio per l’arroganza. Deserti dove il richiamo “Dio è grande” suona più puro che altrove. Una terra abbacinante, dai cieli sconfinati, e così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra – interni, albe e crepuscoli – per ridare un senso alla luce, al fuoco, ai bagliori dello sguardo. Un Paese disperato, dove la donna è schiacciata dal tribalismo e l’oppio è la sola medicina dei poveri, ma dove una straniera può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto come una benedizione. Una terra dove si rischia la vita solo andando a scuola e dove nelle periferie disperate i bambini si svegliano alle quattro del mattino per andare a prendere l’acqua con gli asini. Ma anche un Paese d’ironia, capace di ridere nei momenti più neri, rispettoso degli anziani, perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che domani saranno uomini. Nel giardino luminoso dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione.
Data / Ora
16/09/2016 - 25/09/2016
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Luogo
Il Ciani (ex asilo)
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