Intervista On the Road a Nikos Economopoulos

a cura di Marco Cortesi per LuganoPhotoDays
avvenuta il 23 agosto 2012 sulla strada tra Constanța e București in Romania
durante la Black Sea Expedition (workshop On the Road)

Come ti sei avvicinato al mondo della fotografia?
Quando sei diventato un fotografo professionista?

Inizialmente non mi interessava fare fotografie e non avrei mai pensato di diventare fotografo professionista, ma mi sono avvicinato a questo mondo negli anni ’70 tramite i libri di fotografia semplicemente perché mi piacevano.
Allo stesso modo in cui può piacere leggere un libro di letteratura o ascoltare della musica, a me sfogliare un libro fotografico dava piacere.
Ho iniziato a scattare fotografie solo alla fine  degli anni ’70 e inizio ’80 e più seriamente intorno al 1985.
Solamente dal 1988 ho deciso di lasciare il mio lavoro di giornalista per diventare fotografo, perché sentivo il bisogno di dedicare molto più tempo alla fotografia, pensarci solamente durante i weekend o le vacanze non era più sufficiente. Anche così non credo ci sia mai il tempo necessario per la fotografia.

Quali sono i fotografi che più ti hanno colpito?

Mi piacciono molti fotografi, ma quello che più mi ha colpito ed influenzato è sicuramente Herni Cartier-Bresson, soprattutto con le sue prime fotografie degli anni ’20 e ’30.

Qual è stato il tuo approccio con l’agenzia Magnum Photos?

La Magnum è stata una cosa molto positiva da subito e per me lo è tuttora, perché è un ambiente in cui ci sono molte persone che stimo, sia nel presente e sia nel passato dell’associazione, come fotografi e come persone, perché con loro condivido non solo l’etica professionale ma anche quella umana.
Provengo da un paese di periferia ed entrare nella Magnum mi ha permesso di raggiungere il centro di questo mondo che è la fotografia e di averne una visione più ampia e di imparare molte cose.

Quali sono i tuoi progetti presenti e futuri?

Per il momento non ho un progetto specifico e non intendo averlo, mi piace viaggiare senza uno scopo prefissato, guardarmi intorno con curiosità visuale ed essere stupito da ciò che vedo; non voglio più creare un progetto, trovo che questo possa limitare le esperienze in qualche modo.
Ciò che mi interessa ora è di rimanere stupito e sorpreso positivamente dalle cose che decido di fotografare quando mi trovo “On the Road”, lo scopo è solo di avere esperienze visuali e qualche volta essere in grado di trasformarle in fotografia.
Mi piace stabilire un rapporto, o meglio un gioco, con la realtà , cercando anche piccoli, ma interessanti, eventi visuali.
Forse questo è un atteggiamento più artistico, ma non mi importa molto come venga definito, non mi interessa se sono un artista o un giornalista, mi interessa solo di imbattermi in questi eventi visuali il più spesso possibile perché ciò mi dà molto piacere.

Hai parlato di “On the Road”, che è anche il nome del tuo sito internet (http://www.ontheroad.gr) e dei tuoi workshops, com’è nata l’idea?

Organizzo workshops da una quindicina di anni, ma è solo dagli ultimi 5 anni che lo faccio in maniera molto più organizzata e l’idea è stata di una mia amica, che mi ha chiesto come mai non li organizzassi più spesso per combinare le cose che più mi piacciono, ovvero: fare fotografie, viaggiare e trasmettere la passione e le conoscenze ad altri fotografi (professionisti e non).
Allora ho provato prima con un viaggio in Turchia con la macchina e poi un workshop ad Istanbul e uno sull’isola greca di Karpathos.
Prima di questa esperienza non ero sicuro che mi sarebbe piaciuto, ma da subito ho capito che mi dava molto piacere e non mi pesava, quindi ho continuato.
Ogni anno aggiungo nuove mete e mantengo quelle più interessanti, per esempio il prossimo anno andrò a Burma ed in Irlanda, ma tornerò sicuramente a Istanbul e a Varanasi.
La ragione per cui continuo, organizzando mediamente un workshop al mese, non è unicamente per finanziare i miei viaggi, perché questo motivo da solo non avrebbe senso e non potrebbe funzionare su lungo periodo, ma soprattutto perché mi dà molto piacere condividere con altri queste esperienze e vedere i partecipanti che migliorano notevolmente di giorno in giorno e tra un workshop e l’altro visto che in tanti tornano più volte; per funzionare quindi è importante la combinazione di queste due ragioni.

Qual è il miglior consiglio che vuoi dare ai giovani fotografi?

Nella fotografia, come pure in tutte le altre cose, per avere buoni risultati bisogna essere completamente dedicati e appassionati, non basta uscire qualche volta nei weekend, ma bisogna dedicare tutto il tempo possibile. Non necessariamente bisogna uscire a fotografare tutto il tempo, ma è imporante continuare a pensare alla fotografia e a porsi domande visuali; per me la fotografia infatti è una meditazione visuale: ti poni delle domande e poi cerchi di darti risposte scattando fotografie. Queste domande fanno parte di un processo che inizia prima dello scatto, continua durante e anche dopo.
Prima ci si prepara per andare a fotografare qualcosa, non necessariamente cercando informazioni pratiche del posto, ma magari cercando di immaginare come tu vorresti vedere questo posto. Durante lo scatto il più delle volte non si pensa molto, ma dopo aver scattato la fotografia si ricomincia a pensare. Infatti questo processo non si ferma e non si deve fermare al “click”, ma deve continuare anche in seguito durante l’editing, quando cerchi di mettere gli scatti in un tuo mondo visuale.
Questo mondo che crei nella tua mente e nel tuo animo è un mondo ideale che tu vorresti fotografare e lo cerchi nella realtà; forse questo concetto è ciò che più si avvicina a quello di “stile personale”: prendi elementi dalla realtà che corrispondono a quel universo che hai nella tua mente, magari questo processo potrebbe essere inconsapevole, ma dentro di noi  abbiamo questo mondo in cui ci troviamo bene e cerchiamo nella realtà le immagini per avvicinarci a questo stato di benessere.
Sono queste le cose veramente importanti nella fotografia, non la tecnica o l’attrezzatura.

Anche se l’attrezzatura non è importante, alcuni lettori sono sicuramente curiosi di sapere cosa usi e cos’hai utilizzato in passato.

La mia prima macchina fotografica è stata una Nikon F; in seguito ho utilizzato diverse marche tra cui Olympus, Canon, Contax; ma la mia preferita, che utilizzo tuttora, è Leica.
Da quando sono passato al digitale ho deciso di passare dal bianco/nero al colore. Ora utilizzo una Leica M9 con un obiettivo 35mm.
Sono dell’idea che è necessario semplificare le cose per pensare meno alla tecnica e più a ciò che ci interessa sul serio, ovvero ciò che troviamo all’interno del mirino.
Possedere tante macchine fotografiche e tante ottiche non ci permette di creare un rapporto ottimizzato con ciò che per noi è solo uno strumento. Utilizzando per esempio un solo obiettivo, con l’esperienza possiamo facilmente inquadrare la scena prima ancora di prendere in mano la macchina fotografica, possiamo pensare e vedere il mondo attraverso il frame della macchina anche senza di esso.

Grazie mille Nikos per questa intervista e per il viaggio appena concluso.
Ci rivediamo a Lugano!